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Intervista a Fabrizio Lattuca

 

Intervista a: Fabrizio Lattuca - Prima parte

 

Fabrizio Lattuca

 

AquaExperience ha intervistato Fabrizio Lattuca, personaggio molto noto in campo acquariofilo per via dei suoi studi in merito alla chimica dell'acqua ed alla nutrizione dei vegetali acquatici.

 

Gli argomenti toccati da Fabrizio in questo articolo sono svariati ed abbiamo quindi preferito dividere l'intervista in tre parti, così da renderla più fruibile e godibile per tutti.

 

Eccovi dunque la prima parte, ...buona lettura.

 

 

 

1 - Buongiorno Fabrizio, la ringrazio per avermi concesso questa intervista.
Prima di parlare di acquariofilia e di chimica dell'acqua le chiedo però di presentarsi a beneficio di chi non sa nulla di lei, e di raccontarsi brevemente come acquariofilo.

Ciao a tutti; prego, Andrea; e’ un piacere intervenire sul vostro sito.
Mi chiamo Fabrizio Lattuca; sono un ingegnere che si occupa di controllo di processo e di analisi ambientali. In realta’ pero’, probabilmente, dedico da sempre la maggior parte del mio tempo ad attivita’ legate alla acquariofilia Con particolare riferimento alla chimica dell’ acqua e relative analisi ed alla coltivazione delle piante/nutrizione vegetale.
La passione per l’acquariofilia la ho da quando avevo circa 5 anni. Da quando cioe’ i miei genitori mi portarono a casa di un loro amico che aveva un acquario tropicale d’ acqua dolce. E fu amore a prima vista. Tutt’ oggi, a distanza di piu’ di 35 anni ricordo ancora l'arredamento e gli ospiti di quell’ acquario. Inutile dire che cominciai a “tormentare” i miei genitori con la richiesta di un acquario mio.
Iniziai quindi poco dopo con delle vaschette in cui si alternarono i classici pesci rossi, dei pesci gatto e delle gambusie ed in cui provavo l’ adattamento alla vita sommersa di varie piante che trovavo in luoghi umidi. Il primo vero acquario tropicale arrivò poi quando avevo 9 anni e fui ritenuto in grado di badarci da solo. Era un acquarietto di 40 litri netti (che a me comunque sembrava già grande) di produzione artigianale. In questa vaschetta feci un po’ tutti gli errori classici, ma gia’ da allora mi documentavo molto e cercavo in continuazione notizie su libri e riviste. Purtroppo in quel periodo (fine anni 70, inizio anni 80) l’ internet che conosciamo oggi (sia benedetto) non esisteva ed oltre a vari libri ero molto legato alla rivista “Aquarium”, di cui ho una collezione che conservo ancora. Con l’ impegno e lo studio comunque i progressi furono abbastanza rapidi ed a 11 anni finalmente (nel 1981) ebbi in regalo un acquario piu’ grande (un 80 litri netti) di produzione industriale. In questo acquario, previa installazione con l’ aiuto di mio padre di un neon aggiuntivo, mi divertii molto con quella che era la mia grande passione; la coltivazione delle piante acquatiche. Da quei due primi acquari non mi sono piu’ fermato.

Col tempo, gli studi e le esperienze, le mie conoscenze nel settore progredirono molto, così come la voglia di continuare a studiare questi argomenti ed arrivato all’ Università mi iscrissi alla facolta di Biologia.
Dopo il primo anno pero’ amici più grandi mi consigliarono di optare per qualcosa che avesse potuto darmi un avvenire lavorativo più solido e certo ed allora cambiai, finendo per laurearmi in Ingegneria.
Ho sempre proseguito naturalmente studi ed attivita’ nei campi di mio interesse e, con gli anni, ho potuto effettuare molte esperienze per me molto interessanti in questi ambiti. Devo dire che la “mentalità dell’ ingegnere” mi e’ stata di grande aiuto in questo.
Quelle a cui sono piu’ legato e che hanno influenzato maggiormente la mia formazione sono la gestione per circa tre anni della parte tecnica di una azienda produttrice di piante acquatiche, varie consulenze presso impianti di coltivazione in Italia ed all’ estero, moltissimi viaggi ed analisi ambientali nei biotopi naturali e sulle piante che vi vivono in America, Asia ed Europa; oltre ad innumerevoli test riguardanti la nutrizione delle piante acquatiche, la chimica dell’ acqua, la micropropagazione delle piante acquatiche e l’ ottimizzazione delle metodologie di test chimici e colorimetrici per le acque tipicamente utilizzate in acquariofilia o nelle colture di piante acquatiche. Tutto questo mi ha fatto per un po’ perdere di vista il panorama acquariofilo hobbystico.

Interessato a conoscere i problemi degli acquariofili italiani nella coltivazione delle piante e nella conduzione di una vasca ho cominciato cosi a seguire qualche forum di discussione in internet. Notando un grande bisogno di informazioni di base e molte convinzioni a mio parere errate, dal 2005 ho così iniziato una mia personale “campagna di divulgazione” verso gli acquariofili tramite questo strumento che considero di straordinaria potenza (Internet). Ho cominciato così a partecipare al forum di Aquagarden (allora Aquaplanta), che ritenevo il sito specialistico migliore e più seguito circa la coltivazione di piante acquatiche in Italia ed a tentare di aiutare gi appassionati, condividendo le mie conoscenze e tentando di correggere nel contempo quelle che consideravo delle autentiche assurdità molto in voga in ambito acquariofilo. Ho scritto qualche articolo per qualche periodico del settore, ma onestamente preferisco “dialogare” tramite internet, cosa che permette di veicolare dei contenuti a molte piu’ persone, gratuitamente e di mantenere questi contenuti presenti e disponibili per lungo tempo. Devo dire che questo ha funzionato e mi ha dato la soddisfazione di vedere accrescere la diffusione di certi concetti che qualche anno fa erano quasi considerati delle eresie e che invece da allora hanno generato una diversa consapevolezza rispetto a certi argomenti che si ritrovano oggi ripresi da più parti. Anche nelle domande di questa intervista.



2 - Stando alla letteratura di settore (libri, riviste ...ed anche siti web) buona parte delle piante comunemente commercializzate in ambito acquariofilo sembrerebbe tollerante ampi range di pH, ad esempio da 5,5 ad 8, tuttavia un po' dappertutto si consiglia di mantenere in plantacquario un pH neutro o leggermente acidognolo. Come mai? Perchè viene consigliato di evitare di permanere in ambiente alcalino? E' un consiglio forse legato all'azione dei chelanti presenti in molti fertilizzanti per acquario e nei biocondizionatori oppure è un consiglio valido a priori?

Secondo la mia esperienza, questo e’ un problema legato innanzitutto alla chimica in acqua di alcuni elementi vitali per le piante (alcuni microelementi tra cui in primis di gran lunga il Ferro) ed alla diversa capacità delle piante di assorbirli. Per esempio le piante assorbono fondamentalmente il Ferro in forma ridotta, come ione Ferroso. Ma il Ferro ha la tendenza, soprattutto in certe condizioni, ad ossidarsi, trasformarsi rapidamente in ione Ferrico, poco assimilabile dalle piante se non con un importante sforzo metabolico necessario a ridurlo. Non tutte le piante sono uguali e la capacità di ridurre, assorbire e veicolare al proprio interno questi elementi varia moltissimo da specie in specie ed addirittura all’ interno della stessa specie tra diverse cultivar o forme geografiche.
L’ ambiente in cui le piante si evolvono gioca in questo un ruolo molto importante. Piante evolutesi in acque molto tenere e con pH acido spesso non hanno avuto bisogno di sviluppare quei meccanismi di assorbimento di cui sono invece in possesso piante tipiche di ambienti più “sfidanti” da questo punto di vista, caratterizzati generalmente da salinita’ e pH piu’ elevati. Ecco allora che piante tipiche di biotopi con acqua tenera ed acida hanno spesso problemi in acque piu’ dure e dal pH più alto, che sono in realta’ problemi carenziali, legati alla loro ridotta capacità di approvviggionamento del Ferro e di altri elementi. In passato non vi era modo di ovviare a questo problema, in quanto non vi erano composti chimici capaci di veicolare il Ferro nelle soluzioni nutritive a valori di pH prossimi o superiori alla neutralità. Il chelante maggiormente usato (anche perchè è l’ unico disponibile in quantità ed a basso prezzo), era l’EDTA, che riusciva a mantenere in soluzione il Ferro solo fino ad un pH di circa 6,5. Da qui il bisogno di mantenere pH bassi nelle colture industriali (in questi ambiti anche intorno a 5,8 – 6,0) ed in acquario (dove con certe piante si consigliava di non salire sopra 6,5). Gli acquariofili di solito non entravano troppo nel merito della faccenda, limitandosi ad osservare che certe piante vivevano molto meglio in acqua piu’ tenera ed acida e, senza chiedersi troppi perchè, semplicemente mantenevano le piante nelle condizioni in cui notavano che si sviluppavano meglio. In effetti non e’ certo un ragionamento sbagliato; se hai un problema e trovi un ambito in cui il tutto funziona, semplicemente mantieniti in quell’ ambito!
Da diversi anni a questa parte comunque si dispone di chelanti molto più "robusti" da questo punto di vista e questa limitazione è un po’ venuta meno. Personalmente ho condotto vari esperimenti a riguardo, coltivando con successo piante tipiche di acque tenere ed acide (Mayaca, Syngonanthus, etc...) in acque con GH e KH superiori a 20-30 e pH tra 7,3 e 7,8. In questi casi però con particolari accortezze per quello che riguarda la composizione chimica dell’ acqua e la somministrazione dei microelementi (come detto, Ferro in primis).
In realtaà vi sono molti fattori in gioco e personalmente consiglio comunque di non salire nè scendere troppo con il pH, rimanendo in un intorno della neutralita’ (tra 6,5 e 7,5 ed idealmente tra 6,8 e 7,2).


3 - Vedo a volte plantacquariofili inseguire valori ridotti di durezza totale (GH), anche con una certa apprensione .... io personalmente nei miei plantacquari difficilmente ho il GH < 10 °dGH e l'evidenza dei fatti non mi induce a cercare di intenerire l'acqua. Lei cosa ne pensa? E' importante misurare il GH in plantacquario? C'è un valore "standard" di GH consigliabile per il plantacquario e perchè?

Anche su questo cerco di effettuare una “opera di convincimento” da diversi anni. Ma mi capita ancora di leggere richieste di aiuto da appassionati (usualmente alle prime armi) del tipo: “Aiuto!!, ho appena misurato il GH ed e’ risultato altissimo, addirittura superiore a 10. Cosa devo fare?” ...No comment!!
Il GH è una misura del contenuto di Calcio e Magnesio in acqua. Calcio e Magnesio sono elementi nutritivi indispensabili per le piante (così come per gli animali). Per farla breve, si può dire che con il Calcio ad esempio le piante costruiscono le proprie pareti cellulari ed il Magnesio è la molecola centrale della Clorofilla. Credo che basti anche solo considerare questo per avere risposta alla domanda: “e’ importante il GH?”.
Va considerato comunque che il GH va usualmente di pari passo con il KH (Durezza Carbonatica) e quindi con l’ Alcalinita’ Totale. Cosi’ acque con elevato GH hanno usualmente anche KH ed Alcalinita’ Totale elevati e, conseguentemente, anche pH elevato. I timori riguardo al GH sono quindi prevalentemente ed indirettamente legati a quelli relativi alla nostra seconda domanda, in quanto in acque ricche di Calcio ed a più alto pH il Ferro chelato dall’ EDTA ha maggiore tendenza a precipitare ed a diventare quindi indisponibile in acqua per le piante. Da cui la paura di cui sopra ed il vecchio consiglio di mantenere valori di durezza bassi, soprattutto con piante di “acqua tenera”.
Per mia esperienza per una coltivazione ottimale delle piante acquatiche non conviene scendere per il Calcio sotto circa 30-40 mg/l e per il Magnesio sotto circa 10 mg/l. Questi valori corrispondono ad un valore di GH di circa 8 gradi. Personalmente consiglio di stare tra circa 8 e circa 12 gradi di GH, proprio per garantire un apporto adeguato di questi due elementi così preziosi per la nutrizione vegetale. Ma senza comunque esagerare al fine di evitare comunque inutili innalzamenti della Conduttività che creerebbero alla fine problemi di altro tipo. Va da se’ che ritengo importante misurare periodicamente il GH, il Calcio ed il Magnesio (di solito ricavato dalla misura dei primi due).


4 - Parliamo di KH. I test acquariologici per la misurazione del KH rilevano effettivamente tale valore o cos'altro?

I test in uso in acquariofilia come test del KH in realtà rilevano l’ Alcalinità totale espressa in gradi di KH. Un po’ contorto e per spiegarlo e comprenderlo bene bisognerebbe scrivere molto e fare diversi esempi.
Diciamo solo che il KH vero e proprio è una misura della quantità di Bicarbonati di Calcio e Magnesio. L’ Alcalinità Totale invece rappresenta la misura di tutti gli ioni che sono in grado di neutralizzare degli ioni H+ (acidi cioè) introdotti.
L’ Alcalinita’ totale è costituita dai Bicarbonati (di Calcio, Magnesio, Sodio, Potassio etc.) nonchè da vari altri anioni di acidi deboli eventualmente presenti ed in grado di neutralizzare ioni H+ ai valori di pH di nostro interesse. E’ cioè la cosiddetta “Capacità Tampone dell’ acqua”; cioè, come detto, la capacità di opporsi agli sbalzi di pH qualora venisse introdotto un acido.
Il KH è quindi un sottoinsieme (Bicarbonati di Calcio e Magnesio) di un sottoinsieme (Bicarbonati totali; di qualsiasi Catione) dell’ Alcalinità Totale e, per dirla tutta, non ci interessa neanche misurarlo. Ci interessa invece misurare i seguenti due parametri:

1) l’Alcalinità Totale per conoscere la capacità Tampone dell’ acqua

2) La quantità totale di Bicarbonati presenti (tutti, non solo quelli di Calcio e di Magnesio) per stimare da questi e dal pH la quantità di CO2 presente in acqua.

Riguardo al punto 1) non abbiamo problemi perchè effettuiamo questa misura con i test kit in commercio come “test del KH”. In relazione al punto 2) subentrano invece dei problemi: la quantità totale di Bicarbonati rappresenta un sottoinsieme dell’ Alcalinità Totale, pari a quella che viene anche detta Alcalinità Carbonatica e purtroppo non si può misurare agevolmente.
Per potere stimare la quantità di CO2 disciolta in acqua allora ci rifacciamo a quello che riusciamo a misurare facilmente, cioè all’ Alcalinità Totale, cercando di metterci nelle condizioni in cui l’ Alcalinità Totale e l’ Alcalinità Carbonatica (cioè la quantità totale di Bicarbonati) coincidano.
Questo avviene quando tutta la capacità tamponante dell’acqua deriva dai Bicarbonati presenti; cioè in totale assenza di acidi deboli (quali per esempio gli acidi Fulvici provenienti dalla torba).
In queste condizioni ci basta la sola misura dell’Alcalinità Totale (che, come detto prima, è quello che misuriamo con i test diffusi in ambito acquariofilo e che chiamiamo comunemente “test del KH”).
In realtà questa misura andrebbe espressa in milliequivalenti/litro, ma bisogna ammettere che misurarla in gradi di KH risulta molto comodo per cui è probabile (e per certi aspetti anche auspicabile), che si continui così.
Bisognerebbe però, per evitare confusione, che quantomeno si chiamassero le cose con il loro nome. In questo caso questi test sono dei test dell’ Alcalinità Totale espressa in gradi di KH.


5 - Quindi trattandosi di Alcalinità Totale e non di KH, con che unità di misura andrebbero letti i risultati di questo test?  Se testo l'acqua del mio acquario con un “test del KH” e ad esempio rilevo come valore "7", tale numero lo posso direttamente considerare come valore dell'Alcalinità Totale oppure prima di poterlo fare devo applicargli un fattore di conversione?

Come detto sopra lo si può semplicemente considerare come valore dell’ Alcalinità Totale espressa in gradi di KH. Esprimendo l’ Alcalinità Totale in gradi KH e dicendo che la nostra acqua ha un'Alcalinità totale di 7, stiamo dicendo che l’acqua in esame ha una Alcalinità Totale pari a quella che avrebbe un'acqua in cui tutta l’Alcalinità presente derivi soltanto da Bicarbonati di Calcio e Magnesio ed avente un KH pari a 7.

Per passare alla unità di misura scientificamente riconosciuta come standard per l’Alcalinità, i milliequivalenti/litro (meq/l) di H+, il valore espresso in gradi di KH andrebbe moltiplicato per 0,357.
Nel caso in esempio, una Alcalinità di 7 gradi KH equivale ad un’ Alcalinita’ di 2,499 meq/l.
Cioe’ va considerato che:

1 °dKH = 0,357 meq/l (di H+)

1 meq/l (di H+)= 2,8 °dKH



6 - Ma quindi le tabelle/formule per il calcolo indiretto della concentrazione di CO2 partendo da valori noti di KH, pH e Temperatura non andrebbero più ritenute valide visto che in realtà non andiamo ad inserirvi il KH bensì l'Alcalinità Totale? Oppure è proprio il fatto che inconsciamente inseriamo il valore dell'Alcalinità Totale a farle funzionare correttamente?

In realtà le tabelle non relazionano il pH, la CO2 ed il KH, bensì il pH, la CO2 ed il valore dei Bicarbonati Totali, cioè dell’ Alcalinità Carbonatica; e questi due ultimi sono uguali tra loro ed anche pari all’Alcalinità Totale, a patto che manchino i vari acidi deboli (p. es. da Torba) di cui abbiamo detto sopra.
Le tabelle in uso in acquariofilia hanno già considerato al loro interno la conversione della Alcalinità Carbonatica da meq/l in gradi KH. Dal canto nostro dobbiamo solo preoccuparci di mantenere l’uguaglianza della Alcalinità Carbonatica alla Alcalinità Totale (per farla breve, idealmente niente sostanze organiche come p. es. torba in acqua o nel fondo) e possiamo inserire nella formula/tabella i valori di quest’ultima misurati ed espressi in gradi di KH.


7 - Per cui in queste tabelle/formule occorrerebbe sostituire la dicitura "KH" con "Alcalinità Totale", come del resto anche sui test del KH, giusto?  Perchè non viene fatto? Perchè le Aziende di settore fanno finta di nulla pur sapendo chiaramente di essere in errore? E' forse più semplice per loro e per tutti andare avanti così nell'inconsapevolezza generale piuttosto che cercare di modificare un'errata convinzione ormai troppo ben radicata?

In realtà, nelle tabelle attualmente in uso, occorrerebbe sostituire la dicitura "KH" con "Concentrazione dei Bicarbonati Totali" (ovvero con "Alcalinità Carbonatica") espressa in gradi di KH. Ma si possono produrre tabelle in cui si può inserire l’ Alcalinità in meq/l oppure in mg/l di CaCO3 o in quello che piace. Basta cambiare una costante dopo avere fatto una conversione numerica.
Per quello che riguarda i test in commercio invece, dovrebbero essere chiamati Test dell’Alcalinita’ Totale (evidenziando poi come questa sia espressa in gradi KH).
Si continua sulla strada errata, credo, per abitudine e credo che tu abbia colto nel segno con la tua disamina. Le aziende hanno forse paura di non venire ben comprese, con il cliente che nel dubbio preferisce comperare il “test del KH” di un’altra marca piuttosto che questo “test dell’Alcalinita’” che non è ben sicuro che sia proprio quello di cui ha bisogno.
Eppure ultimamente qualcosa sta cambiando ed alcune marche cominciano a chiamare le cose con il loro nome cercando di spiegare e dissipare la confusione. Per quello che è possibile fare nelle poche righe di un foglietto illustrativo.
Personalmente sono contento di questo e penso che forse ho avuto un ruolo a riguardo, avendo contribuito da diversi anni con le mie “prediche” ad incuriosire molti appassionati circa l’argomento.


8 - A questo punto la domanda sorge spontanea ... Se un acquariofilo volesse misurare il vero valore di KH nel proprio acquario come dovrebbe fare?  Sarebbe una misurazione attendibile e proponibile sotto forma di test hobbystico? E soprattutto, visto che non è il KH bensì l' Alcalinità Carbonatica ad incidere sulla concentrazione di CO2, c'è un reale motivo per cui occorrerebbe misurare il vero KH?

Si puo’ misurare il vero KH in vari modi. Per esempio portando ad ebollizione l’ acqua finchè tutta la CO2 si è dispersa nell’ atmosfera e finchè tutti i bicarbonati sono diventati carbonati.
A quel punto i Carbonati di Calcio e Magnesio precipitano nel contenitore sottoforma di polvere bianca e possono essere filtrati, asciugati e quantificati tramite pesatura. E’ una misura piuttosto attendibile (bisogna correggere considerando la piccola quantità residua data dal limite di solubilità nel volume di acqua presente e considerare le varie quantità perse nella filtrazione etc... e l’ errore di pesata). E’ comprensibilmente improponibile per un acquariofilo.

Piu’ facilmente si puo’ misurare il GH dell’acqua prima di questa operazione di bollitura prolungata e poi quello dell’acqua residua dopo la precipitazione dei carbonati. La prima misura ci dà la Durezza Totale, la seconda la Durezza Permanente e si può ottenere così il valore della Durezza Carbonatica (KH) per differenza.
Comunque sarebbe anche questa fatica sprecata perche’ questo valore non è, per un acquariofilo, di grande utilità. L’ utilita’ si avrebbe nel caso in cui si volesse conoscere un po’ meglio la composizione di un’acqua incognita, cercando di stimare la quantita’ di Sodio presente (può essere utile perchè il Sodio è un elemento generalmente inutile e dannoso per le piante che comunemente coltiviamo). La misura del Sodio in acqua infatti non è attuabile con semplici metodi colorimetrici o turbidimetrici e necessita di particolare apparecchiatura molto costosa. In questo caso si potrebbero misurare facilmente come prima cosa i valori di GH, Potassio ed Alcalinità Totale.
Quindi si potrebbe bollire l’acqua fino ad ottenere la precipitazione dei carbonati di Ca e Mg e rimisurare il GH e l’Alcalinità totale. Questi dati e qualche semplice calcolo matematico possono permetterci di stimare la quantità di Sodio presente. Dubito comunque che un normale acquariofilo voglia fare tutto questo.


9 - Parliamo di test più in generale. Quanto sono attendibili i test hobbystici che vengono proposti dalle Aziende del settore acquariologico?

Purtroppo, salvo poche eccezioni, i test commercializzati in ambito acquariofilo non sono molto attendibili. Spesso non è neanche colpa della casa che li commercializza, che non produce questi test da se (perchè non ha il Khow how), ma li compera da produttori esterni e li immette sul mercato.
Uno dei problemi è rappresentato dal fatto che questi test nascono per l’uso in ambiti diversi dal nostro, dove magari ci sono (o non ci sono) dei “contaminanti” diversi da quelli presenti nelle nostre vasche. A tal proposito mi ricordo che diversi anni fa una nota casa di acquariofilia estera che cominciava ad immettere sul mercato una linea di Test, commercializzava un test per il Ferro che non rilevava il Ferro chelato. Probabilmente era andata da una ditta produttrice di questi test ed aveva chiesto di avere un test per il Ferro. Questi avevano prodotto un test per il Ferro basato sulla metodologia ufficiale, che utilizza Orto-Fenantrolina, e lo avevano dato alla casa di acquariofilia che lo aveva messo sul mercato. Quest'ultima però probabilmente si era dimenticata di specificare al produttore del test che questo test non doveva venire usato per rilevare la presenza del Ferro negli scambiatori di calore (per dirne una), bensì negli impianti di coltivazione o negli acquari dove il Ferro che si vuole rilevare è quello chelato. E con questo il metodo ufficiale basato sulla O-Fenantrolina, senza particolari modifiche, non serve a nulla perchè non rileva questo tipo di Ferro. Gli appassionati si ritrovavano quindi con un test del Ferro che restituiva sempre zero!
Lo stesso identico test commercializzato da una azienda seria (Come la Hach o la LaMotte), specifica nelle istruzioni che questo test non va utilizzato in presenza di certi “contaminanti”, tra cui i chelanti (come l’EDTA usato nella fertilizzazione delle colture vegetali). Ecco quindi che un test del Ferro, pur basato sul principale metodo ufficiale per la misura del Ferro (ottimo per esempio per misurare il ferro all’interno di boiler o vari apparecchi industriali), non serve a nulla nell’ambito della coltivazione delle piante in vasca.

In generale poi si hanno spesso problemi di conservazione dei reagenti, e noto spesso l’uso di metodologie di test non pensate per massimizzare la conservabilità, data la scarsa stabilità dei reagenti usati e la composizione del prodotto. Di certo nè gli acquariofili, nè i distributori di questi test (grossisti e negozi di acquariofilia) mantengono questi test in armadi refrigerati. Inoltre polveri igroscopiche (che cambiando volume fanno si che, pur usando il solito cucchiaino, la quantità dosata in realtà cambia) o che vanno soggette a processi di ossidazione, liquidi dispensati da boccette contagocce con gocce non calibrate.... e molto altro che non sto ad elencare perchè sarebbe un po’ troppo tecnico.
In sostanza, tante cose contribuiscono alla poca affidabilità dei test per uso acquariofilo. E questo è un vero peccato perchè tutto questo contribuisce alla convinzione di molti acquariofili che testare i parametri dell’acqua (quantomeno con questi test) è inutile o addirittura fuorviante; laddove è invece una cosa molto importante (ovviamente solo in presenza di test affidabili).

Diverso è il discorso circa i test prodotti e commercializzati da primarie aziende specializzate nella chimica analitica (Mackerey-Nagel, Hach, LaMotte, Merck, etc...). Queste magari commercializzano test con reagenti in polvere separati, molto ben pesati e calibrati e confezionati in pillole racchiuse in singoli blister di alluminio. Ottimo; ma chi è disposto a pagare finanche 1 Euro per una misura?
Se si avessero 3 vasche e si misurassero ogni settimana 7 parametri per vasca (Potassio, GH, Calcio, Alcalinità, Nitrati, Fosfati, Ferro), anche al costo di 50 centesimi a test sarebbero una quarantina di Euro al mese. Decisamente troppo per degli acquariofili hobbisti.


10 - Ho letto varie comparative tra le più note case prodruttrici di test acquariologici, ed ho notato scostamenti non indifferenti nei risultati da marchio a marchio.  Anche le tacche delle cuvette graduate in dotazione spesso denotano macro errori di posizionamento, ma ciò (a detta di alcune Aziende interpellate in merito al problema) parrebbe incidere poco sull'esito di alcuni test...  Un acquariofilo come deve comportarsi in tal senso?  Esistono sistemi per verificare l'attendibilità dei propri test ed eventualmente per calibrarli? A che livello della colonna è più corretto prelevare l'acqua campione (spiegando che differenze vi possono essere per alcuni valori prelevandola in prossimità della superficie, a metà colonna, e a livello del fondo)?

Purtroppo è come lei dice. Questo è causato da un po' tutto quello che abbiamo detto sopra. Per esempio anche il citato cattivo posizionamento delle tacche sulle provette. In realtà, su questo hanno ragione le aziende interpellate; questa è, tutto sommato, una delle cose che incide meno, direi più o meno un 10% sul risultato finale (visto che capita che magari anzichè 5 ml se ne considerino 4,5 oppure 5,5, ma di solito non peggio di così).
Nonostante in acquariofilia non si necessiti di precisione ed accuratezza così elevata comunque sarebbe bene che questi errori non ci fossero, perchè comunque si sommano ad altri non eliminabili (p. es. la diversa sensibilita’ ai colori dell’occhio di chi effettua i test).

Un consiglio che si può dare è quello di cercare di trovare una provetta con una tacca abbastanza precisa (fare varie prove con diverse provette e siringhe e scartare quelle che si discostano di più dalla media) e quindi usare sempre quella. Oppure usare una provetta senza tacche ma prelevare l’acqua da analizzare con uno strumento preciso, quale una pipetta graduata.
A questo punto si dovrebbe calibrare misurando acqua a concentrazione nota e memorizzare in qualche modo i risultati (per esempio sul foglio con la scala cromatica inclusa nella confezione del test in oggetto). Purtroppo non sempre è facile e si necessita quantomeno di una bilancina di precisione e/o di pipette (o di puntali dispensatori) a goccia calibrata. Per esempio si potrebbero preparare delle soluzioni standard (p. es a 20, 10, 5, 2.5, 1.25 mg/l) di Nitrati, misurarle con i test in proprio possesso e verificare lo scostamento dalla scala di colore fornita con il test.
Al di là delle difficoltà realizzative comunque, questo è un ottimo modo di procedere e si dovrebbero periodicamente “testare” i test (scusate il gioco di parole) in proprio possesso.
Nell’ incertezza inoltre, i test andrebbero mantenuti ben chiusi in frigorifero a 4-5 gradi centigradi.

In generale per la maggior parte dei paramentri non vi è una differenza rilevante nell’effettuare il test in una zona dell’acquario piuttosto che in un’altra. Fanno eccezione le misure di alcuni elementi soggetti a precipitazione o stratificazione all’interno della vasca. Per esempio per il Ferro conviene effettuare la misura in acqua libera e molto vicino al fondo.
Talvolta possono esserci delle differenze sorprendenti. Anche i Fosfati possono avere concentrazioni diverse all’interno della vasca, ma l’argomento risulta piuttosto complesso per poterlo trattare qui. In ogni caso è buona norma garantire un buon ricircolo d’acqua in tutte le zone della vasca; in superficie come vicino al fondo, cosi’ che non si instaurino questi gradienti di concentrazione. Aiutandosi eventualmente con pompe di movimento aggiuntive. Così come è sempre buona norma sifonare al meglio che si riesce il fondo in concomitanza con i cambi d’acqua.

 

Appuntamento a tra due settimane per la seconda parte dell'intervista a Fabrizio Lattuca.

 

 


 

 

Tutto quanto è stato espresso da F.Lattuca in questa intervista è e rimane assolutamente di sua proprietà, ed ogni eventuale riferimento è ammesso esclusivamente riportando sia l'autore (Fabrizio Lattuca) sia la fonte (questa intervista su Aquaexperience.it).

 

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Fabrizio Lattuca

 

 

Ultimo aggiornamento (Giovedì 03 Marzo 2011 17:15)

 

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